Io e il Signor G. abbiamo trascorso un weekend lungo a Venezia lo scorso Novembre, pochi giorni prima che la nostra Regione diventasse zona Rossa e a poco più di un mese dai nuovi lockdown di Natale.
In programma per quelle date c’era un breve viaggio a Lviv in Ucraina, ma quando i nostri voli sono stati cancellati abbiamo “ripiegato” sulla città lagunare, dicendoci che non ci sarebbe mai più capitato di vederla nel modo in cui l’avremmo vista in piena pandemia.
Inutile dirvi che è stata un’esperienza di una bellezza surreale e che le calli deserte, i canali immobili e Piazza San Marco immersa in un silenzio assordante ci hanno riempito gli occhi di meraviglia.
D’altra parte la città, con le sue saracinesche abbassate, ci ha anche riempito il cuore di tristezza.
L’atmosfera mi è sembrata ben diversa da quella che si respirava a Burano alla fine del lockdown di Primavera, quando l’isola era sì deserta, ma come sospesa nell’attesa fremente di un ritorno alla vita.
A Novembre Venezia (complice forse l’Autunno) sembrava semplicemente sopravvissuta ad un’odissea, intatta e incantevole ma ormai abbandonata e malinconica, un po’ come noi che andavamo incontro, con pessimismo e rassegnazione, alla seconda ondata e al suo strascico di restrizioni.
Ma siccome siamo esseri umani e il nostro istinto primario è per forza di cose quello della sopravvivenza, (checché ne pensi chi considera insensibili e disumane le persone che continuano a viaggiare, a bere un caffè al bar o a concedersi un pranzo al ristorante nonostante la pandemia globale) abbiamo provato a concentrare in quei pochi giorni il massimo della bellezza e della spensieratezza, per poterla poi rievocare e rivivere nei ricordi all’arrivo dei momenti peggiori.
Abbiamo scelto un hotel lussuoso benché decentrato e ci siamo concessi colazioni a letto, ritmi lenti, passeggiate lunghissime e un Bellini all’Harry’s Bar.
E poi, approfittando del coprifuoco e della chiusura dei locali alle 18.00, abbiamo dilatato all’infinito l’ora dell’aperitivo lasciando che inglobasse non solo il pranzo ma anche la cena, e abbiamo camminato per chilometri tra i Sestieri alla ricerca degli unici Bacari aperti, quelli frequentati non dai turisti (razza ormai estinta) ma dai locali.
Così, per un weekend, abbiamo esorcizzato la pandemia con calici di Prosecco e bicchieri di Spritz e ci siamo dimenticati di essere tristi e stanchi grazie agli infiniti chichetti consumati all’aperto, seduti a tavolini minuscoli, godendoci gli strascichi di una perfetta Indian Summer.
Perché se durante il primo lockdown fuori era Primavera, l’Autunno (che è la mia stagione del cuore) è riuscito in parte a sfuggire ai divieti e agli imperativi dell’ #iorestoacasa, permettendoci di godere di qualche minuscolo scampolo di normalità.